Cara Femmina Contemporanea, la Sacra Fregna tienitela pure!
Pubblicato il 24 Maggio 2016 6 commenti
La sacrosanta verità è che ci si annoia. Persone interessanti in giro, neppure l’ombra. Ed è così, imbattendomi su questo post (Caro Maschio Contemporaneo, riprenditi la Sacra Fregna), scritto da Memorie di una Vagina e pubblicato da Linkiesta, che ho deciso di rispondere di stomaco, ma senza rabbia. Giusto un appunto.

Photo by Brian Harkin/Getty Images
Cara Femmina Contemporanea,
ti scrivo questa lettera per dirti che la tua Sacra Fregna puoi anche tenertela.
In primis vorrei tranquillizzarti e spiegarti che no, non è la mia virilità ad essere in crisi in questa epoca segnata dall’iperconnessione, dall’inesauribile pluralità d’offerta, dalla disponibilità e gratuità del porno e della totale confusione ta i generi.
Noi in crisi non lo siamo affatto: come ben dici te, lo saranno le relazioni, lo saranno le nuove generazioni, lo saranno i nostri genitori che ci mandano emoticon su facebook e whatsapp; lo saranno i giovani che fanno più sexting che sesso; lo sarete voi donne single perennemente in conflitto tra la vostra indipendenza e la vostra solitudine. Eh si, evidentemente lo sei anche tu, cara Femmina Contemporanea. Ma di certo non noi.
Noi che siamo cresciuti abbastanza. Noi che ci siamo assunti delle responsabilità. Noi che ci trovi a rassettare casa al pomeriggio dopo il lavoro. Noi che siamo pronti di fronte alla famiglia, di fronti ai figli, di fronte al sesso (ricorda comunque che gli slanci giovanili sono finiti da un pezzo), di fronte a un motore a scoppio o a un cavo elettrico. Noi davanti i fornelli la sera per prepararci la schiscetta per il giorno successivo. Eh si, cuciniamo anche meglio di voi, ed hai pienamente ragione nel dire che non ci voglia molto. Noi che preferiamo ancora la famiglia ai viaggi in giro per il mondo alla ricerca di noi stessi. Noi sappiamo bene chi siamo. E sicuramente, non siamo in crisi di fronte a voi donne.
Ed è difficile, forse impossibile, farvi capire che la nostra non è crisi, ma più noia, molto probabilmente frutto della vostra “emancipazione”. Che siete andate così oltre, che vi siete “emancipate” anche da voi stesse.
Siamo tutti d’accordo, e lo sono anch’io, nel dire che la vostra generazione di donna concede la propria virtù in dosi e tempi diversi rispetto alle generazioni passate (leggi: la date via come fosse mangime ai piccioni, solo che noi a differenza degli altri volateli, che s’ammassano tutti lì a beccare il beccabile, iniziamo a far selezione). E davvero così facile averla da voi che crea suspanse l’incertezza della tizia su youporn creata da una connessione internet del cavolo a casa.
Siete alla ricerca del maschio alfa, e vi portate a casa sempre il fighetto palestrato tutto tatuato: “Che sai quest’anno va il maori e vieni dai che ti spiego questo tattoo che valore ha nella mia vita e i mille significati dell’essere”. Oppure il figlio dei fiori con la chitarra in mano impegnato nel sociale, nelle lotte di partito e alla ricerca di sentieri sostenibili. Belli eh, nulla da dire, ma credibili quanto Banderas nello spot della Mulino Bianco.
Noi, la Sacra Fregna, ce la siamo sudata tanti ma tanti anni fa. Dai pomeriggi interminabili a far squilletti, alle lettere sentimental/drammatiche; dalle serenate stonate sotto casa ai cd masterizzati degli 883; dalle poesie d’amore ai testi scopiazzati di Battisti e Mina. Perché la Sacra Fregna, in quanto tale, andava onorata.
E andava bene su per giù in qualunque modo: roscia, bionda, nera, grassa, magra, giovane, no, vecchia no, glabra, afro, verticale, orizzontale e pure di traverso. Oggi no. Oggi non è più così. Oggi ce la tiriamo alla grande!
Oggi che YouPorn ha sdoganato il sesso, ci lasciamo andare, e la barba incolta e il pube altro che ben ordinato, non è “hipsteria” ma solo trasandatezza e voglia di essere veri. E non vi costringiamo a spalmarvi cera bollente sulle grandi labbra e strappare via, perché ancora oggi nessun uomo è morto ucciso da un pelo pubico in gola.
Oggi non cerchiamo foto. Le foto delle tette. Le foto del culo. Viviamo in uno stato di permanente e immutabile noia che ci porta a non eccitarci mai davvero, a non afferrarlo nemmeno quel culo, a non toccarle nemmeno quelle tette, a non darvelo nemmeno quell’uccello. Vedervi tutto il giorno con lo smartphone in mano fra una foto che vi “like” e un “sashimi e nigiri organico” postato su Instagram, ha gettato la nostra libido ai minimi storici, che a paragone i discorsi della Flavia Vento sembrerebbero quasi interessanti. Ma non è solo questo.
Noi non siamo quelli che vi chiedono esplicitamente “vuoi scopare stasera?”. Siamo gli esperti del corteggiamento, quello misurato e consapevole, ma non sappiamo proprio chi corteggiare. Abbiamo lottato per la “trombamica”, ci avete tolto anche quella. Latita, da parte vostra care donne, la disponibilità a mostravi vere sul piano umano, che interessanti lo siete già di vostro, perché forzare la cosa cercando di dimostrarlo ad ogni costo. La portiera dell’auto aperta, la sedia accompagnata a cena, la chiacchiera passeggiando sul lungomare, il tentativo e anche la “vituperata carta del rimbalzo”. E stavamo al gioco dell’auspicabile o strategico, rimbalzare, se la tipa ci piaceva. E noi lo amavamo anche. Adesso siete così prevedibili e scontate che sotto casa vi salutiamo col bacetto sulla guancia, anche al centesimo appuntamento, anche quando è evidente che potremmo osare, perché i segnali (inclusi quelli di fumo e il codice morse) li sappiamo recepire.
E’ che preferiamo guardare una noiosissima partita dell’Inter invece che Amare voi tra un selfie e una noiosissima lezione di yoga. Vi portiamo a cena fuori solo perché il nostro gattino, al ristorante, non lo accettano ancora. Siete troppo occupate a postare su Instagram foto di viaggi in solitaria, piatti asiatici e cocktail caraibici con sunset a far da sfondo.
Perché in fondo, a noi, provarci sempre con voi era la nostra ragione di vita, dopo il calcio ovviamente! Perché siamo masculi (maschi). Ecco perché. Ma il problema è proprio qui. È che il concetto di “maschio” senza il concetto di “femmina” non ha più ragione di esistere. Avete preferito l’IO al concetto di “femmina”. Raggiungere i propri interessi personali. Nessuna lotta ideologica, neppure qualche radical chic, meri interessi personali. E riflettendoci, se proviamo a vestire i vostri panni, cara Femmina Contemporanea, ci accorgiamo che ci calzano a pennello. Che le Donne Contemporanee sono così banali e scontate che non ci viene difficile neppure far a meno di voi.
L’Uomo Contemporaneo lavora il giusto e si stressa il meno possibile perché non vuole essere fra i primi dieci posti nella classifica di Forbes ma giustamente neppure l’ultimo dei coglioni. Ha bisogno di una donna che sia donna, ma anche madre, moglie, amica, confidente, pazza sclerata, cuoca, colf, infermiera e a cui possiamo “praticamente” delegarle tutte le relazioni con la propria famiglia. Non vuole una super donna in carriera. Non cerca lo scontro, se non per poi fare la pace fra le lenzuola in camera da letto. Non abbiamo bisogno di donne con le palle, quelle le abbiamo già noi e ci fanno anche un po’ schifo. Ci piacciono anche quelle che parlano di cazzi e orifizi manco fossero smalti e ombretti, ma poi sognano la favola perchè noi siamo ancora perduti ed eterni romantici. Cerchiamo donne brave con le bocche, ma amiamo mandare il messaggino della buonanotte. Vi vogliamo forti da crescere i nostri figli e capaci di crollare per un paio di doppie spunte blu senza risposta. Che ci sbraiate contro, che se non diamo attenzioni siamo degli stronzi, e se ve ne diamo troppe sbuffate anche. Che nonostante dirigete un’azienda tutta al femminile dobbiamo invitarvi prima noi. E vi accettiamo per quelle che siete, anche col pigianone antisesso le fredde sere d’inverno.
Che un cuore dichiarano d’avercelo, e non in fondo alla vagina. Che sono emancipate ma il conto lo paghiamo anche noi per carità (perché sì, quella è una questione di eleganza). Che le dimensioni non contano, e che se dovessimo eiaculare nel tempo di uno starnuto è perché stiamo provando ad amarvi e non a compiacerci per la durata a letto. E non serve mica il gps per trovarvi il clitoride né tantomeno dovete ergervi a google maps, la strada la troviamo da soli! Che il mobile ve lo facciamo noi e che l’Ikea possa anche andar in malora. Capaci di stirarci le camicie e deliziarvi di qualche sofisticata citazione fra un rutto e una scoreggia. Che la sera amiamo sorseggiare un bel Amaretto di Saranno davanti al camino leggendo un bel libro, anche se è lo stesso da tre anni a sta parte. Cresciuti coi Nirvana e appassionati di Indie e dei Baustelle. Che ci emozioniamo ancora per qualche canzonetta di Tiziano Ferro e con i Goonies che passano in tv durante le feste di Natale. E toh, vi regaliamo magari i biglietti per il concerto di Vinicio Capossela. Perché essere divertenti, sagaci, piacenti e naturalmente pazzi di voi, funziona ancora.
Il punto è che se non riuscite a stuzzicare neppur minimamente il nostro interesse meglio che stiate da sole. E il vibratore azzurro, principe indiscusso della vostra sessualità da fighe di legno, capace sì di arrivare dove nessun uomo potrà mai, facendovi scoprire inediti orizzonti del piacere grazie alla sua meccanica precisione e ricaricabile batteria, ve lo regaliamo anche, che noi preferiamo ancora farci una pippa invece che avere le palle smaronate anche in quei momenti!
Ecco, sai cosa c’è, Cara Femmina Contemporanea? Noi sapremmo indicarvi anche la soluzione. Ma ci state così tanto sulle palle e stiamo così bene da soli che ce la teniamo per noi. So che siamo in questa situazione qua. Che noi siamo così e te, e le tue simpaticissime college, siete lì. Che preferiamo guardarci qualche puntata della nostra serie del momento e poi praticare del sano onanismo, che non contempli l’interazione con una di voi, banalissime creature femminili dell’oggi.
Possiamo solo dirti, Cara Femmina Contemporanea, che a noi d’averci il cazzo piccolo non ce ne frega una cippalippa, perché che vi piaccia o meno, i 20 anni, voi, li avete passati da un pezzo. Posso confermarti che, come io cerco conferme, le cerchi anche tu. Posso confermarti che possiamo provare a evolverci, come si fa sempre dopo le crisi, e diventare persone nuove, con fragilità e insicurezze assimilabili. Adulti imperfetti che provano a stare al mondo, trovando un equilibrio e tendendo al benessere condiviso. Posso confermarti, cara Femmina Contemporanea, che ormai siamo cresciuti. E che abbiamo tutti, uomini e donne, le nostre paure, le nostre nevrosi, i nostri fallimenti e le nostre storie di merda alle spalle. Che non è una gara e che non lo è mai stata. Che non c’è da aver così tanta paura. Che in fondo, vogliamo entrambi la stessa cosa, amare ed essere amati senza tanti programmi e sotterfugi.
E credimi che fare l’amore è meglio che essere emancipate, farvi toccare il culo è più appagante che aver più soldi di noi in busta paga, e una fellatio – se ben fatta – è più alla moda di un ristorante giapponese in Porta Romana. Eh si, non sarebbe neppure male se potessimo portarvi all’altare poi. Non aver paura di essere madre, prima di te, lo sono state in molte. Eh si, nessuno è mai morto soffocato da un pelo pubico.
E quando sei a letto con un uomo, amalo, anche solo per 10 minuti (arrotondiamo per eccesso): cerca la sua pelle, mordi la sua bocca, accarezza i suoi capelli, e i suoi occhi, e il suo piccolo pene. A noi ci frega poco che tu sia roscia, bionda, nera, grassa, magra, giovane, no, vecchia no, glabra, afro, verticale, orizzontale e pure di traverso. Amaci così, anche solo per 10 minuti, che ci serve a riscoprirci umani. Fatti di carne, e istinti, e sapori, e odori, così come siamo. Non come appariamo. Che in fondo, vogliamo entrambi la stessa cosa, amare ed essere amati.
Tivvubbì,
Piccolo Pene.
P.S. Ah, cara Femmina Contemporanea, un’ultima cosa. Invece che il corso di yoga il martedì e il giovedì sera, vai da nonna e chiedile come si cucina una pasta con le sarde e la mollica atturrata con i controcazzi, gradiremmo senz’altro!
“La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza”. (P.P.P.)
Pubblicato il 4 novembre 2015 Lascia un commento
Quasi 30, e ancora oggi mi sento come un pescatore irrequieto che non ha pazienza, a cui, sinceramente, non importa neppure di pescar qualcosa. Lo scirocco che soffia e il sale che scava rughe sul viso, tramonti diversi uno dall’altro e quel mare che dà tanto quanto toglie.
Sono lì, proprio dove vorrei essere. E penso di esser con le persone che vorrei al mio fianco. E penso ancor di più di essere chi vorrei che io fossi. Un’isola, grande un continente. Preda di mille approdi, così fiera da bastarsi da sola. Qualcuno rimane, qualcun altro perso ritorna sulla terra ferma.
Isola e naufrago allo stesso modo. E improvviso, dimenticando i viaggi sino a oggi, così da poter imparare e perdermi ancora. Ed ho trovato la Fede, senza tanti fronzoli, che maledico quando penso di poterne farne a meno.
Io e un gattino, e con chi ha ancora la voglia di stare con noi.
Vicini o lontani, brindo a voi, e vi abbraccio.
Generazione sfortunata e disgraziata la nostra degli anni 80!
Pubblicato il 10 ottobre 2015 Lascia un commento

Non abbiamo scampo, la nostra è una generazione condannata alla solitudine.
Per chi come me ha visto la luce nei primi anni del 1980, si ritrova in una situazione di perenne insoddisfazione amorosa/sentimentale. Niente da fare, non ci si salva.
Eppure le abbiamo provate tutte. Andiamo per ordine.
Le 20enni. Ci piacciono, non possiamo negarlo.
Saranno state le pappine della Mellin, gli omogeneizzati bio o le trasmissioni della De Filippi, ma si ritrovano dei corpicini perfetti, taglia 38 e con dei seni da far imbarazzare la Carmen Russo. E’ veramente un peccato che passino tutto il loro tempo a controllare quanti “like” ha racimolato la propria foto in costume da bagno su Instagram, a pubblicare citazioni prese a caso su facebook o a sembrare politicamente schierate seguendo i vari link del momento.
Le 30enni. Ci affascinano, è la verità.
Hanno quel graffio che non te la devono mai dare vinta. Compravano i raccoglitori delle ragazze di “Non è la Rai” e i libri della Fallaci. Cresciute con le Spice Girls e gli 883, mix perfetto fra ribellione e romanticismo metropolitano. Hanno mollato però, non hanno saputo imboccare una propria strada. Sono ancora lì, ferme al bivio, fra essere donne e iscriversi a corsi di yoga vestendosi da 20enni.
Le 45enni. Danno un senso di protezione, almeno dicono.
Imboccate con emancipazione e lotte sessiste. I poster della Janis Joplin sulle pareti e i ritagli dei Duran Duran dentro ai diari segreti. Hanno fatto le scuole, e finite tutte, chi anche più di una. Hanno portato le maniche ai gomiti e si sono sporcate le mani e le dita in particolare. Stanno tuttora sfogliando i vari giornali di annunci di lavoro in cerca di un impiego fisso.
Lo avevo premesso, siamo condannati alla solitudine.
Ci rimangono le fusa del nostro gatto sul divano guardando Lost, le ricette di Gambero Rosso e le vittorie al Fantacalcio.
Sogniamo l’Amore, quello vero però, chattando su Whatsapp con una vecchia fiamma del liceo e portando nel frattempo a cena una bionda conosciuta su Tinder.
Generazione sfortunata e disgraziata la nostra degli anni 80!
A volte tutto quello di cui avremmo bisogno è niente.
Pubblicato il 27 marzo 2015 Lascia un commento
A volte tutto quello di cui avremmo bisogno è niente.
Non sono mai stato così felice come quella volta in cui mi ritrovai solo su una spiaggia in inverno con solo pochi euro buoni neppure per pagarmi un’ora di calcetto con gli amici.
Chiusi gli occhi, presi un gran respiro, li riaprii, guardai il mare e tutto rimase com’era. Non un segno, nessuna parola forte, nessun brivido che mi attraversasse la schiena. Ero lì e non importava niente a nessuno, tanto meno a me.
Ci riprovai, urlai contro il mare, presi della sabbia fra le mani, chiusi i pugni e la lanciai più forte che potessi. Ero ancora lì. Neppure un fil di vento che potesse presagire qualcosa.
Quello era uno di quei momenti giusti per capire qualcosa della vita, tutto intorno a me era lì per insegnarmi qualcosa.
Me ne andai.
Sometimes all we need is nothing.
I’ve never been so happy like that time when I found myself alone at the beach in a winter day. I only had a few euros on me, not enough to pay even one hour of soccer with my friends
I closed my eyes, took a deep breath, I opened them, I looked at the sea and everything remained as it was. Not a sign or a strong word, no chills through my back. I was there and anyone didn’t care about it, neither I.
I tried again, I screamed against the sea, I took the sand in my hands, I closed my fist and threw it as hard as I could. I was still there. Not even a puff of wind that could portend something.
That was one of those moments to understand something about life; everything around me was there to teach me something.
I left.
Vanessa, Greta, Sgrena o chicchessiano.
Pubblicato il 17 gennaio 2015 2 commenti
Alla domanda:
“A chi critica l’eventuale riscatto pagato dallo Stato per la liberazione delle due ragazze, dico: facile criticare, ma se fossero state le vostre figlie?”
posta un padre sul proprio profilo Facebook, parlo da figlio con un’età da poter essere padre.
Piccola parentesi sulla questione dei marò italiani in attesa di giudizio in India in risposta ad un commento fatto da una terza persona che afferma:
“Abbiamo pagato per la Sgrena paghiamo per queste e anche per altre. Speriamo che l’India ci chieda dei soldi per i nostri soldati così possiamo dire di aver liberato i nostri maró”.
Il più grande insegnamento che possiamo ricevere e augurarci di trasmettere da un padre è che ogni nostra azione avrà sicuramente, nel breve o a lungo termine, una conseguenza. Insegnerebbe molto di più se la conseguenza ricadrebbe su chi agì, in buona o cattiva fede. In tutta sincerità penso sia doppiamente sbagliato analizzare nello specifico un errore generalmente criticato o criticabile solo perché vicino ai nostri affetti.
Non puoi e non potrai mai obbligare un figlio a non sbagliare ma sarebbe giusto insegnargli a prendersi la responsabilità del fatto e le conseguenze che ne derivano.

Sgrena, Vanessa, Greta, ai fatti di oggi non hanno mai ucciso nessuno. Sbagliato, a mio parere e oltretutto secondo la legge italiana, pagare un riscatto. Non si ha la certezza ma l’Italia ha pagato negli anni riscatti per riportare a casa nostri connazionali. Nazioni come la Francia, la Germania e la Spagna lo hanno fatto a sua volta. L’America e gli inglesi no. Loro non pagano nessun riscatto, e non è una questione di denaro, come se si potesse mai avere un tariffario o dare un prezzo ad una vita umana. Un sequestro è un atto di forza e si risponde con un atto di forza. In Italia invece si deve combattere, più che con i rapitori, con l’opinione pubblica. In Italia il Governo sarebbe criticabile sia se pagasse (pagano con denaro pubblico un riscatto per gente che non conosciamo o che se la è cercata) sia se non lo facesse (non è in grado di riportare a casa un connazionale).
Detto questo, i marò, e non può essere strumentalizzato, hanno ucciso. Poi se si vuole discutere su quali motivazioni hanno spinto i due a sparare, se debbano essere giudicati dal governo italiano o da quello indiano, se dovevano trattenerli in Italia e non farli ripartire, questa è un’altra storia.
Mi si risponde:
“Salvo, tutto giusto……in teoria, ma la domanda ricorre….visto che ancora non sei padre, se una delle due fosse stata tua sorella mi pare di capire che avresti preferito farle tagliare la testa in onore ad un irreprensibile comportamento dello Stato italiano?”.
Nella più totale ed assoluta sincerità e nel più totale coinvolgimento affettivo-mentale considerando che sono seduto su un divano e mia sorella penso sveglia da poco nella sua casa a Roma, non vorrei mai e poi mai che lo Stato italiano, che non mi rappresenta e di cui mi sento parte solo per cultura e storia, pagasse un riscatto per un mio caro che volontariamente e conscio delle sue azioni si trova-trovava nella situazione di Vanessa e Greta.
Avrei, invece, venduto la mia Smart, casa nella 10^ est, ogni mia proprietà a tal punto da camminare scalzo, indebitato e chiesto soldi fin quando qualcuno sarebbe stato disposto a darmeli nella consapevolezza che non sarei mai in grado di ripagare il debito. Con questi soldi avrei assunto professionisti privati che con un atto di forza, pari ad un rapimento, potrebbero darmi la speranza di rivedere mia sorella.
La differenza fra grandi Uomini e gli altri, sta nel saper affrontare le situazioni che ti chiamano in causa nell’intimo e nel personale, con quella lucidità e quella integrità di pensiero come se dovessi gestirle per degli estranei.
Nella vita si è sempre di esempio, che lo si è nella sua concezione negativa o in quella positiva. Un esempio da seguire o da evitare.
Le cito poche parole di un libro che lessi anni fa e che dovrebbe essere didattico in tutte le scuole elementari sperando si possa insegnare ad essere Uomini e Donne invece che ridursi a tante comparse nei locali e nei privé della propria città (considerando che una delle cose non debba per forza discriminare l’altra).
E’ un libro di Enrico Deaglio, “Le banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca”:
“Signor Perlasca. Lei era un commerciante italiano. Lei non era parte in causa. Lei avrebbe potuto scappare a Budapest. Perchè ha fatto tutto quello che ha fatto?”. Perlasca avrebbe risposto con le poche parole che ripete adesso. “Vedevo delle persone che venivano uccise e, semplicemente, non potevo sopportarlo. Ho avuto la possibilità di fare, e ho fatto. Tutti, al mio posto, si sarebbero comportati come me”. Avrebbe forse aggiunto, con la sua lenta cadenza veneta: “Si dice in Italia: l’occasione rende l’uomo ladro, di me ha fatto un’altra cosa”. E avrebbe dato la prova che anche nella più impenetrabile nebbia, esiste – perchè è propria dell’animo umano – una tentazione irriducibile, indicibile, fiabesca alla “banalità del bene”.
Di tutto quello che ho scritto sa dove vive il paradosso? Non potrei mai riuscire a pagare qualcuno per liberare mia sorella perché quello stesso Stato che paga riscatti per legge avrebbe congelato tutti i miei averi per evitare che io possa pagare un riscatto!
Io non sono Charlie.
Pubblicato il 12 gennaio 2015 Lascia un commento
Anno Domini 2015.
“Questo post sarà scritto in forma ridotta per venire incontro alle vostre capacità mentali”.
Pare che da un paio di giorni il nome più in voga in Europa, e in buona parte del mondo, sia Charlie.
Rattrista, e non poco, la morte di 20 persone, che siano esse vignettisti, poliziotti, economisti o attentatori. Che sia per mano islamica, cristiana, indù o per un incidente stradale.
Spiazza e confonde, invece, chi riesce a identificarsi in modo appassionato con un gruppo di vignettisti che poco hanno di sarcastico e molto di intollerante verso dei credo o delle idee lontane o in antitesi alle loro.
Inconcepibile come un Paese super nazionalista come la Francia possa, da un giorno all’altro, essere esempio di tolleranza e di integrazione multiculturale e religiosa. Per banlieue francese s’intende l’area che circonda la città sottomessa a giurisdizione (ban: potere di amministrare, lieu: luogo) o si riferisce al senso di esclusione che la periferia evoca rispetto al centro cittadino (e fa quindi risalire l’origine del termine alla messa al bando/lontano dalla città) degli individui più poveri e ritenuti più pericolosi?
E “quoque tu, Italia, mater mea”, oggi sei a favore della satira?
Montanelli, Luttazzi e (ahimè) Santoro, sono “morti” invano?
Charlie Hebdo è un periodico settimanale satirico francese, dallo spirito caustico e irriverente. La testata, fondata nel 1970, è fortemente sarcastica contro le religioni, come il Cattolicesimo, l’Islam e l’Ebraismo, la politica (soprattutto soggetti di estrema destra) e la cultura. Ma quello che palesa da alcune copertine pubblicate nei mesi e negli anni scorsi, è una mancanza totale di rispetto e offensive nei confronti di chi manifesta una libertà di pensiero, di credo politico o religioso diverso dal loro.
Un conto è la satira, un altro è il fanatismo, seppur non violento.
Disapprovo fermamente una sistematica mancanza di rispetto velata da una sacrosanta libertà di parola e di espressione. Condanno ogni forma di barbarie in nome di Dio, di Allah o di chicchessia. Non una differenza fra eccidi, genocidi, atti di terrorismo o stragi di matrice islamica, cristiana o per motivi razziali.
Provocazione, offesa o libertà di espressione?
Vittime o carnefici?
Charlie o Ahmed?
Multiculturalità non significa accettare a priori un pensiero diverso o imporre il proprio. La multiculturalità dovrebbe semplicemente portarci a tollerare chi è diverso da noi.
Io NON sono Charlie, e pretendo il rispetto in maniera incondizionata che io non lo sia.

Anno Domini 2015
“This post will be shortened in order to meet your mental abilities”.
Since a couple of days ago, Charlie seems to be the most in vogue name in Europe and in the vast majority of the world.
The death of 20 people is a deep pain, no matter if they are cartoonists, policemen, economists or attackers, no matter if the loss is at the hand of Islamic, Christian, Hindu people or because of a road accident.
It floors and confuses, instead, the fact that there are people able to intensively identifying themselves with a group of cartoonists, whom, more than sarcastic, are intolerant towards different believes and ideas or towards those ones opposite to theirs.
Inconceivable to see how a super nationalist Country such as France can, all of a sudden, turn into an example of tolerance and multicultural and religious integration. With the French word banlieue should we define the area surrounding the city which is under jurisdiction (ban: the power of manage, lieu: place) or should we consider it according to the meaning of exclusion of the poorest and the apparently believed most-dangerous individuals living in the suburbs outside the city centre (in simple terms, interpreting the word as banning/away from the city)?
And “quoque tu, Italia, mater mea”, are you approving the satire?
Once again, the Italians go to bed as Fascists and they wake up supporting the freedom of the press and the freedom of the expression. Since when has Italy become sincere fan of the satire?
Even Santanché declared she wants Charlie Hebdo to be published in Italy. Has the Bulgarian Diktat been thrown away or is that these new events are convenient for that entourage of hypocrites and boors riding the wave of the Italian social relativism (buonismo) which is invading the pro-American Europe?
Montanelli, Luttazzi and (alas!) Santoro are “dead” in vain?
Charlie Hebdo is a French satirical weekly newspaper, characterised by an irreverent and extremely sarcastic tone. The newspaper first appeared in 1970 publishing articles about religions, such as Catholicism, Islam and Judaism, politics (particularly extreme right-wing parties) and culture. But the aspect revealed in the printing of some issues during the past months or years, is a total lack of respect and insults against those who show a freedom of thought, a political or religious belief different from theirs. It’s one thing using satire, but it’s another thing using fanaticism, even if not violent at all.
I firmly disapprove a systematic lack of respect, veiled by an inviolable freedom of speech and expression. I condemn every form of barbarity in the name of God, Allah or anyone.
No difference between massacres, genocides, acts of terrorism or religious-matrix slaughters or for racial reasons.
Provocation, offence or freedom of expression?
Victims or executioners?
Charlie or Ahmed?
Multiculturalism doesn’t mean accepting a different thought or imposing your own a priori. Multiculturalism should simply lead us to tolerate those who differ from us.
I am NOT Charlie, and I pretend the unconditional respect for not being it.
A Natale sono contento senza un vero perché.
Pubblicato il 25 dicembre 2014 Lascia un commento
Passiamo la vita cercando un rifugio dove sentirci al sicuro, lontano dai cambiamenti del mondo. Il cambiamento, intrinseco in ognuno di noi, ci spaventa. Costruiamo momenti uguali ad altri nell’illusione di immortalare il presente, ignari che nello stesso istante in cui percepiamo il presente, il presente è già andato. Riponiamo le nostre ultime speranze nelle tradizioni, perché la ripetitività ci rassicura.
Quest’anno, con la leggerezza che mi porta al cuore, accantono il Gesù bambino di colore e la citazione di Riccardo Garrone ne “Vacanze di Natale”, e mi coccolo con una vecchia “canzone di Natale” di radio Deejay.
La verità è che a Natale sono contento senza un vero perché.
We spend our life looking for a refuge where to feel safe, away from the changes of the world. The change, inborn feature of ourselves, scares.
We create moments similar to others in the futile attempt to eternalize our present, in vain, as at the precise moment we feel our present, it’s gone.
We put our last hopes in the traditions, because repetitiveness reassures us.
This year, with lightness in my heart, I decided to put aside the black Baby Jesus and Riccardo Garrone’s quote in “Vacanze di Natale” and to pamper myself with an old “Christmas Song” by Radio Deejay.
The truth is that, at Christmas, with no real reason, I am just inexplicably happy.
Il mio tempo, nel tempo, è adesso.
Pubblicato il 1 novembre 2013 1 Commento
“C’è un tempo, nel tempo, in cui ti è permesso decidere, più del resto delle volte, chi essere.
Nella vita non farai mai scelte più vere di altre, ma acquisteranno un peso maggiore quelle fatte in quei momenti in cui non hai di più da chiedere.
Ed è così che da un giorno all’altro lasci la direzione manageriale di un albergo dando le dimissioni, butti dentro uno zaino maglie, pantaloncini ed infradito, le mischi a sogni e un paio di ricordi, e compri un biglietto di sola andata. Lasci la tua amata, tanto quanto odiata Italia, e parti verso un continente così grande da non farti paura: l’Australia.
Ogni giorno un giorno nuovo.
Una nuova vita “on the road” per il nuovo continente.
Quel tempo, nel tempo, è adesso.
Il mio tempo, nel tempo, è adesso“.
“There’s a time, in the time, when you are able to decide, more then ever, who you want to be. In your life you will never make choices which are truer than others but, during those moments, when you have nothing else to ask for, those choices will carry more weight.
And that’s just how it happens: unexpectedly, you quit your job, put some t-shirts, trousers and thongs in a bag, with your dreams and a couple of memories and then you leave to something which will surely enrich your life. You leave your loved and hated Italy for a such big continent that doesn’t scare you: Australia.
Every day is a new day. A trip “on the road” all the year round through the New World.
That time, in the time, is now.
My time, in the time, is now“.




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